Il suono come organismo a sé stante
Il suono è già di per sé un’entità “vivente”, seguendo una parabola ben delineata e scandita da diverse fasi temporali: generalmente un attacco, una fase di “regime” ed una di decadimento. Riflettere su questo aspetto è di fondamentale importanza, tanto che negli anni settanta in Francia è nata addirittura una corrente di pensiero, lo “spettralismo”, che poneva al centro delle sue ricerche proprio il singolo suono e la variazione nel tempo della frequenza e della dinamica delle sue parziali. Tale riflessione nasceva appunto dalla convinzione che la “vita” di un suono, dalla sua nascita, seguendone l’evoluzione fino al suo spegnersi, potesse costituire già di per sé una forma musicale autonoma. È ovviamente un pensiero strettamente legato all’analisi dello spettro tramite calcolatore, che rende possibile risalire al “patrimonio genetico” di ciascun suono come sottoponendolo ad una gigantesca lente d’ingrandimento; ciò rappresentò un notevole ampliamento di un campo di indagine ancora oggi al centro di dibattiti e ricerche di natura teorica ed estetica, perché postula una strutturazione formale insita all’interno di ogni singolo suono. Immaginiamo ad esempio di percuotere un enorme tam-tam, di chiudere gli occhi e di ascoltare come il timbro evolve progressivamente e disegna una “storia” musicale ben delineata: basterebbe già a convincerci di quanto questa prospettiva sia affascinante.
Il suono come “mattone” di un edificio
Storicamente, invece, siamo abituati a considerare i vari suoni come singole cellule di un organismo più complesso, cioè come elementi dipendenti dal contesto musicale nel quale sono inseriti. L’articolazione dei suoni nel tempo e la loro strutturazione in gesti e figure dà vita alla forma musicale, vale a dire una vera e propria strategia degli eventi proprio come avviene nel caso di un lungometraggio cinematografico. La “musica” non è altro che questo: pensiero che si fa suono, costante feedback tra emozione ed estremo rigore che si manifesta attraverso l’organizzazione di cellule musicali in un lasso di tempo. Prede così vita una sorta di “drammaturgia” degli eventi di cui il compositore è supremo regista, costantemente alla ricerca di un equilibrio tra libertà e rigore, tra logica e invenzione, tra fantasia e coerenza. E gli elementi, “le pietre per costruire” (per dirla con Hermann Hesse[1]) di cui dispone il compositore per esternare la propria poetica devono appartenere al peculiare linguaggio musicale, vale a dire linee melodiche, aggregati armonici, articolazioni ritmiche e scelte timbriche ragionate. Procederemo ora con l’accenno ad alcuni modus operandi, saltando volutamente tra linguaggi ed epoche diverse.
“Costruire” con i suoni: la forma musicale
Se, dopo un attento e reiterato ascolto, dovessimo “raccontare” quel che succede nel II movimento della sonata per pianoforte Appassionata di L. van Beethoven, non ci sfuggirebbe l’enunciazione di un tema, poi sottoposto ad un ciclo di artifici variativi di carattere melodico, ritmico ed armonico, prima della riapprodo finale alla cellula originaria. L’aspetto più interessante di questo modello formale, comunemente detto “tema e variazioni”, è il riconoscimento ad ogni variazione delle caratteristiche principali del tema di base, e contemporaneamente l’allontanamento progressivo dallo stesso ad opera delle tecniche variative. Un altro principio costruttivo è alla base del celebre IV brano della Suite Peer Gynt di E. Grieg (a tutti noi noto come sigla dell’indimenticabile Ispettore Gadget!); è subito evidente un percorso accumulativo che coinvolge un po’ tutti i paramentri: la dinamica (il grande crescendo), il timbro (la progressiva aggiunta di strumenti, con strategico intervento nel finale delle percussioni), il registro (la proiezione dal grave all’acuto). Il tutto è poi reso ancora più incalzante dall’accelerando che conduce alla delirante esplosione finale. Idee formali diverse appaiono in alcuni passaggi della Sagra della primavera di I. F. Stravinskij (qui un evidente gioco di contrasti multipli, di natura timbrica e dinamica) e di Petruška, dello stesso Stravinskij, dove spesso, trattandosi di feste popolari, ambienti circensi e chiassose fiere, è messa in scena mirabilmente la contemporaneità di elementi eterogenei associati a scorrimenti temporali differenti. Un gioco puramente ritmico, costruito sull’alternanza di metri binari e ternari, caratterizza la seconda parte della canzone dei Beatles We can work it out e un famoso brano tratto da West side story di L. Bernstein, mentre un elemento eminentemente timbrico-gestuale, sorta di violente “coltellate” mimate dall’orchestra d’archi, accompagnano la famosa scena della doccia del film Psycho di A. Hitchcock. Abbiamo così affrontato alcuni esempi di quanto l’universo musicale possa essere vario e prodigo di stupefacenti possibilità evolutive, lungi dall’esser state ancora del tutto esplorate. La creatività, il desiderio di scoprire e di sperimentare, la curiosità della ricerca, fortunatamente, non avranno mai fine.
Collegamenti
- Per una breve introduzione da un punto di vista percettivo sul problema del suono percepito come mattone musicale si vedano anche la pagine percezione del suono e fisiologia del sistema uditivo.
- Per un approfondimento relativo all'analisi spettrale del suono visita la pagina Teorema di Fourier. La pagina richiede un minimo di prerequisiti matematici anche se la lettura dei sonogrammi (tra cui il colpo di tam tam) in essa contenuti è del tutto intuitiva e spiegata in modo semplice ed accessibile a chiunque.
- ↑ Hermann Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, ed. Oscar Mondadori, p. 288: "Nel nostro Giuoco delle perle di vetro noi scomponiamo quelle opere dei saggi e degli artisti, ne ricaviamo regole stilistiche, tracciati formali,interpretazioni raffinate che usiamo come fossero pietre per costruire. Ciò che fa il Giuoco delle perle è raccogliere e ordinare in un’opera enciclopedica tutto lo scibile del suo tempo in forma simmetrica e sinottica intorno a un centro, aspirando non soltanto ad un allineamento dei campi del sapere e dell’indagine, bensì a un intreccio, ad un ordinamento organico. Andava dunque cercando il denominatore comune. Il Giuoco dei giuochi era diventato una specie di linguaggio universale col quale i giocatori erano in grado di esprimere valori mediante simboli e di metterli in vicendevole rapporto."